Ultimi giorni per la personale Racconti domestici dell’artista spezzino Lorenzo D’Anteo presentata e promossa da In fact and in fiction presso Spazio Contemporanea a Brescia sino all’11 giugno. La mostra, inaugurata il 21 maggio scorso con una performance di Jacopo Benassi e il live concert di Khan of Finland, ha riscosso grande interesse intorno all’opera di D’Anteo (La Spezia, 1973) che si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Carrara in Arti plastiche nel 1995 e ha partecipato alla vita cittadina sin dai primi anni Novanta. Nel 2011 è stato tra i fondatori del Btomic, spazio alternativo che ha ospitato concerti, mostre, performance e produzioni teatrali. Ha realizzato le illustrazioni per The eyes can see what the mouth can not say, magazine semestrale fondato da Jacopo Benassi e Federico Pepe, nato per raccontare e documentare le attività del Btomic. Tra le mostre cui ha partecipato si segnalano: Premio del Golfo, CAMeC, La Spezia, 2006, a cura di Bruno Corà; “Why is the wilderness not so wild”, Le Dictateur, Milano, 2009; “Not Soul for Sale”, Tate Modern, Londra, 2010, a cura di Maurizio Cattelan, Cecilia Alemani, Massimiliano Gioni; partecipazione al progetto COCO, Milano, 2017, con Jacopo Benassi e Federico Pepe; “L’inizio di una sedia” Museo della sedia leggera di Guido Chiavari e Anna Rocca, Chiavari, 2017, a cura di Mario Commone e Lara Conte; “Naturamorta”, Ex Ceramica Vaccari, Ponzano Magra, SP, 2019, a cura di Mario Commone.
Di seguito il testo scritto in occasione della personale ospitata a Brescia da Irene Bianchetti, di In fact and in fiction, che ha promosso la mostra insieme alla collega Valentina Lucchetti e Gloria Pasotti di Spazio Contemporanea. “Frammenti di stanze aprono scorci sull’interno di una casa, che di quadro in quadro viene progressivamente delineandosi. Siamo dentro le mura di uno spazio domestico, un luogo raccolto che racconta di sé e di chi lo ha abitato, qualcuno che ha lasciato le tracce della propria presenza ma non sembra più esser lì. Sono ambienti ricchi di dettagli, dai più vistosi ai più microscopici, che ne svelano garbatamente i retroscena: armadi le cui ante semi aperte lasciano intravedere il contenuto, vecchie credenze su cui poggiano bottiglie già cominciate, composizioni disordinate di frutta, animali impagliati, termosifoni impolverati, cavi elettrici che fuoriescono da buchi nella parete, fili rotti che oscillano, piccoli ganci che sostengono piatti decorati, chiodi solitari, ragnatele che ornano gli angoli e fini crepe a solcare il muro. Composizioni enigmatiche, forse nate dalla sovrapposizione di ricordi personali, che generano luoghi dove l’energia umana ha impresso il proprio segno ed è poi svanita. Gli oggetti ricoperti di polvere appaiono in tutta la loro materialità, nella solitudine statica di corpi inanimati. Una materialità dimenticata che lascia intuire lo sguardo lucido di chi ne conosce le fattezze concrete. Il loro scheletro viene spesso esposto più che celato, forse a raccontare l’effetto di erosione che il tempo gli imprime. Lasciate riposare come nature morte, le cose sembrano covare nel loro corpo silenzioso e quieto, un sottile mistero. L’occhio di Lorenzo D’Anteo si concentra su aspetti marginali del campo visivo, quelli che sfuggono ad una prima vista, inquadrandoli con taglio cinematografico, come attraverso il movimento di una camera che zooma su un angolo della scena, escludendone il resto. Ciò che in genere è considerato sfondo e posto in secondo piano qui diviene soggetto. Chiodi, fili di ferro, crepe e ragnatele, vengono ritratti con cura e fanno trapelare il piacere di chi si sofferma a guardare ciò che è piccolo, laterale, trascurabile. L’attenzione per i particolari, nel suo disegno, ricorda vagamente le illustrazioni scientifiche antiche le quali, con l’intento di osservare, comprendere, ordinare la realtà, cercano di fermarla in una figura. Così anche la scelta di riprodurre in scala 1:1 gran parte degli ambienti domestici, sembra voler catturare l’immagine nella sua autenticità. Tuttavia ciò che si percepisce non è il tentativo di ritrarre l’evidenza, ma piuttosto la volontà di fissare qualcos’altro, qualcosa di segreto, di arcano, di indicibile. Guardando si può avvertire un senso di ironia e insieme d’inquietudine, che ha il potere di straniare, di scostarci un poco dall’asse della realtà e mantenerci in attesa di qualcosa che sembra stia per accadere. Il suo disegno, rigorosamente in bianco e nero, è realizzato a carboncino su carta. Nell’allestimento Lorenzo ha deciso di alternare il ritmo della narrazione, intervallando lavori singoli con composizioni multiple, tenute assieme fisicamente da strutture di legno, che talvolta si sporgono nello spazio a conquistare volume. Dei rosoni in gesso con motivi decorativi in rilievo incorniciano alcuni disegni, ampliandone la portata narrativa e simbolica. Un teschio con parrucca ed un telefono sono poggiati su una consolle a dare il benvenuto. Lì si trova il vestibolo di un percorso che si dipana tra sale a tema, come in una signorile dimora antica. Percorso che guida il visitatore attraverso la Quadreria, per procedere poi nella Sala della caccia e da lì nella Sala delle sculture, dove due statue in cemento occupano con i loro corpi lo spazio e come sentinelle immobili osservano, catalizzando su di sé a loro volta lo sguardo. L’ultimo passaggio, infine, ci invita a sbirciare furtivamente dentro le stanze private, tre nicchie separate dove si accumulano alcuni tra gli oggetti più intimi, sensuali e caotici della vita quotidiana”.
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