"Bullizzato ho abbandonato la scuola. Vivo da 7 anni in casa con il Pc. Sono un hikikomori" - HuffPost Italia

2022-08-20 03:17:09 By : Ms. Monica Liu

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Una stanza, due finestre, un divano, un appendiabiti e una scrivania. E il monitor del computer sempre acceso, unico contatto con il mondo esterno. Marco Brocca, 25 anni, da sette vive in questo suo rifugio a Treviso. Esce solo per prepararsi da mangiare, quando la madre Patrizia, infermiera, e la sorella diciottenne sono assenti, e per le visite mediche. Da sempre affetto da una dermatite cronica, Brocca soffre di un disagio adattivo sociale tipico dei ragazzi giapponesi. È un hikikomori, che significa “stare in disparte”. Il Corriere della Sera lo ha intervistato. 

Soffro da sempre di una dermatite cronica. Per il 40 per cento è stata all’origine della separazione dei miei. Mio padre è un no vax, voleva curarmi con l’omeopatia. Sosteneva che ero stato rovinato all’età di 3 mesi dalle vaccinazioni obbligatorie. Ma è falso: nel suo ramo familiare esiste traccia di questo eczema.

Quando era in seconda superiore, frequentava l’Itis Max Planck di Villorba, Marco venne ricoverato in Dermatologia per una decina di giorni. Nonostante la madre spingesse affinchè tornasse a scuola, dopo il ricovero lui decise che non ci avrebbe più messo piede. 

Mi barricai in camera, con il letto davanti alla porta per impedire a chiunque di entrare. Dopo due giorni, la mamma smise di urlare. Però staccò Internet e mi requisì il pc. Leggevo Topolino, Harry Potter e Le Cronache di Narnia.

La scuola per lui non era un luogo sicuro e dove si sentiva a suo agio, per colpa degli insulti dei bulli.

Già dalla prima media. La mia è una diversità che si nota subito e non potevo farci nulla. Non riuscivo ad accettarmi. I rush cutanei su braccia, gambe e collo mi provocano un prurito irresistibile. Grattandomi, la dermatite diventa ancora più evidente, sfocia nel sanguinamento. I compagni mi guardavano schifati.

Mi chiamavano lebbroso, ma sottovoce: da 1,70 di statura ero passato a 1,95 e mi temevano. Oppure zombie, perché il bruciore mi teneva sveglio la notte e mi presentavo in aula con le occhiaie.

E l’aiuto non arrivò neanche da parte degli insegnanti. 

Vigeva il cameratismo, dovevi dimostrare di essere maschio con pugni e schiaffi. Un mio compagno riferì a un professore d’aver ricevuto un cazzotto nello stomaco e la risposta fu: “Ma sì, dài, scherzavano”.

Per il prurito incessante non riuscivo mai a finire i compiti. Mamma e insegnanti si convinsero che fossi pigro, così decisi di dar loro ragione e cominciai ad andare male intenzionalmente in tutte le materie.

Nel passaggio alle superiori Marco iniziò ad avere attacchi di ansia che peggioravano anche la sua dermatite. Da piccolo sognava di fare il paleontologo, ma abbandonati gli studi, si è concentrato da autodidatta nello studio delle lingue e ora conosce l’inglese alla perfezione, lo spagnolo e il russo “a metà”. Nella sua vita da recluso un unico alleato, il suo computer. Il primo lo ha ricevuto a 13 anni e quando ne aveva 20 ha scoperto i social. 

Sto al pc dalle 10 alle 23. Mi fermo solo per cucinarmi qualcosa, a volte alle 17 anziché alle 13. Mi corico all’1 o 2 di notte, senza spegnere il computer. Se non riesco a dormire, torno a usarlo.

Nelle 13 ore che passa davanti al computer non naviga solo su internet, ma si definisce un allenatore.

Alleno patiti dell’e-sport di tutto il mondo, che vogliono diventare campioni di Overwatch o di Valorant.

Videogiochi. Il secondo è uno sparatutto, creato dall’americana Riot. Organizza tornei in cui mette in palio anche 50.000 dollari. Faccio consulenze a 10 euro l’ora per chi vuole perfezionarsi nel combattimento. A volte rimedio al massimo 400 euro mensili, a volte niente.

Marco sceglie di mettere la testa fuori dalla sua tana solo quando la madre e la sorella non sono in casa, con la famiglia ha un rapporto complicato, sa che sua madre soffre molto per lui e questo gli pesa. Ma un aiuto lo ha rcevuto, sempre tramite uno schermo, da Marco Crepaldi, fondatore e presidente di Hikikomori Italia. Un amico (Brocca una volta al mese si concede di incontrare qualcuno), gli aveva consigliato di informarsi sugli hikikimori. 

Non sapevo che esistesse un’associazione così, credevo d’essere l’unico afflitto da questa sindrome. È stato un amico ad aprirmi gli occhi: “Secondo me, tu sei un hikikomori”. Tornato a casa, mi sono messo a cercare sul web. Ho provato sollievo, non mi sono più sentito solo. Ho scoperto che almeno 100.000 italiani soffrono il mio stesso disturbo. Però ci ho messo cinque mesi prima di decidermi a scrivere a Crepaldi. È merito suo se sono uscito di casa per incontrarlo a Milano. Mi ha segnalato alla psicologa Giovanna Borsetto per una terapia, iniziata via Skype e proseguita di persona a Mestre. 

Gli insulti ricevuti a scuola hanno cambiato la personalità di Marco, adesso “l’abbraccio di un amico mi imbarazza, anche se non mi infastidisce”, ma anche il suo fisico ne ha risentito: “A causa dei miei malesseri il peso è cresciuto in pochi anni da 50 a 100 chili. La segregazione e la sedentarietà mi hanno fatto arrivare a 128″. Quello che più lo spaventa del mondo fuori è “l’essere minimizzato a formica. Vali solo per il tuo lavoro, per quanto riesci a vendere di te stesso”. 

Che consigli darebbe ai giovani perché non precipitino in questo gorgo? È difficile. All’inizio non sei conscio di caderci dentro. Poi diventi un vegetale che cammina e ti autodifendi chiudendoti a riccio. Il malessere non si cronicizza solo se la famiglia ti accetta e ti aiuta.

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